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Ambra Sabatini: "La vera forza l'ho trovata nello sport. Ogni giorno aggiungiamo qualcosa al nostro percorso"

Scritto da Gruppo Spaggiari Parma | 24/11/25 16.20

Un dialogo con l'atleta paralimpica che ha trasformato un incidente in una rinascita. Tra pista, protesi e nuove sfide, Ambra racconta cosa significa rialzarsi davvero – e aiutare gli altri a farlo.

La vera forza non arriva subito. Non è quella che vedi nei filmati di gara, nei tempi record, nei podi. La vera forza, per Ambra Sabatini, è arrivata gradualmente, da dentro, quando ha capito che poteva cercare una nuova prospettiva anche stesa in un letto d'ospedale.

«Trovare una nuova prospettiva possa aiutare nei momenti di difficoltà», dice Ambra. Dietro queste parole c'è il peso di mesi in ospedale, di un corpo che non rispondeva più come prima, di una ragazza che doveva imparare a camminare di nuovo, a correre di nuovo, a vivere di nuovo.

La famiglia è stata la colonna portante – sempre. Ma la trasformazione vera è arrivata dallo sport, da quel momento in cui ha deciso di non aspettare, di non essere aspettata, ma di andare a riconquistare qualcosa di fondamentale: la sua autonomia.

«I momenti che hanno fatto parte della mia rinascita sono stati proprio quelli in cui mi sono andata a riconquistare la mia autonomia tramite lo sport. Imparare a andare in bici, andare – imparare – ad andare sui pattini e correre».

Non è retorica del riscatto. È il corpo che riapprende il movimento. È la consapevolezza che ogni gesto, ogni pedalata, ogni falcata è un'affermazione di «esisto ancora, e posso decidere chi voglio essere». Il più grande insegnamento è venuto dallo sport. Ma lo sport, per Ambra, non è mai stato solo competizione. È stato strumento di conoscenza di sé.

Il Connubio Invisibile: Corpo e Protesi

Quando parla della pista paralimpica, Ambra racconta qualcosa di diverso da quello che si sente solitamente. Non racconta di un "limite" superato. Racconta di una complessità nuova.

«Applico il solito agonismo che ha sempre fatto parte di me», dice. L'atletica è ancora atletica. I programmi di allenamento sono gli stessi di un atleta normodotato. Non c'è una gara facilitata – c'è la stessa durezza, la stessa ricerca della massima prestazione.

Ma c'è qualcosa di più, qualcosa che spesso rimane invisibile: il rapporto con la protesi. Non come oggetto aggiunto, ma come parte del sé atletico.

«Non è bravo solo chi è forte, si sa allenare bene, ma chi riesce a trovare il miglior connubio con il proprio strumento. Nel mio caso la protesi – come può essere una carrozzina, come può essere qualcos'altro».

Questa frase racchiude una verità profonda: la ricerca della performance non è soltanto nel muscolo, nella mente, nella resistenza. È nel dialogo continuo tra il corpo e ciò che lo estende. È nell'adattamento.

«Ogni volta che decido di cambiare qualcosa – che sia la partenza dal blocco oppure aggiungere una nuova specialità come quest'anno che ho deciso di partecipare anche nella gara di salto in lungo – cambiano gli strumenti e il mio corpo si deve adattare».

Non è rassegnazione. È creatività fisica. È il riconoscimento che il corpo umano «ci permette di adattarci a qualsiasi cosa». E in questo adattamento costante c'è una bellezza che va oltre la medaglia: c'è la scoperta di capacità che nemmeno sapevi di possedere.

Quando tutto sembra statico

La sensazione di essere bloccati è uno dei nemici più subdoli. Ambra lo sa bene. È stata bloccata in un letto d'ospedale, dopo l'incidente. Doveva soltanto aspettare, avere pazienza. Ma non è stato così passivo come potrebbe sembrare.

«Ho sempre cercato di trovare una soluzione, fare del movimento, guardare avanti».

Anche quando non puoi correre, il tuo sguardo può correre. Anche quando il tuo corpo è fermo, la tua mente può muoversi. Non è positività tossica. Non è negare il dolore. È riconoscere che dentro l'apparente staticità, qualcosa sta comunque accadendo.

«Spesso magari abbiamo questa sensazione di restare bloccati, ma in realtà – piano piano – ogni giorno noi abbiamo la possibilità di aggiungere qualcosa anche di piccolo e di infinitesimale proprio al nostro percorso. Che si tratta di carriera, che si tratta di famiglia, che si tratta di futuro, progetti».

Il linguaggio è importante: non "superare", non "risolversi", ma "aggiungere". Un centimetro alla volta. Un giorno alla volta. Un piccolo passo che sembra insignificante fino a quando non guardi indietro e vedi quanto strada hai fatto.

«Anche i momenti in cui tutto sembra statico, in realtà tutto cammina in avanti e porta a qualcosa. Bisogna mantenere – non dico una positività tossica super – però capire che ogni cosa, sia positiva che negativa, porta a un traguardo. Se noi diamo il meglio di noi stessi, porta un bel traguardo. Si può superare».

Ambra non nasconde il negativo. Lo include. Lo trasforma in direzione.

Il peso della Fortuna e della Responsabilità

Ci sono momenti nella vita in cui il senso di colpa pesa più delle ferite. Ambra lo sa.

Quando racconta del suo impegno sulla sicurezza stradale, non lo fa come una testimone che ha "superato" la difficoltà. Lo fa come una persona che ha avuto fortuna – e lo sa. Che sa di aver potuto scegliere di essere dalla parte della vittima della strada, e non da quella di chi la provoca.

«Ho sempre pensato e desiderato di voler stare dal lato della vittima della strada, non dal lato di chi causa l'incidente, perché veramente riesco ad affrontare tutto, ma non sarei riuscita ad affrontare un senso di colpa verso un'altra persona».

Ecco il punto: la resilienza non è univoca. Non è solo una questione di come affronti il male che ti è capitato. È anche il riconoscimento che avresti potuto essere tu a causare il male, e che l'universo ha deciso diversamente.

«Questo stare attenti, il capire che non siamo immortali, che può capitare a tutti di avere un incidente del genere».

Quando Ambra va nelle scuole, non porta il messaggio "io ce l'ho fatta". Porta il messaggio "questa poteva andare in molti altri modi, e io sono stata fortunata, ma non tutti lo sono". Porta il ricordo di come era «una ragazza normalissima, facevo mezzo fondo» – finché non è arrivato l'imprevisto.

«Però a tanti non è andata così e purtroppo ci sono tante storie drammatiche. Per questo è importante parlarne e sensibilizzare su questo tema».

Non è il racconto del vincitore. È il racconto di chi è consapevole che la vittoria è fragile, e che la prevenzione è il solo vero atto di amore verso gli altri.

Ciò che manca: il Coraggio di guardarsi negli Occhi

I ragazzi di oggi hanno molte cose. Hanno qualità, apertura mentale, opportunità. Ma manca qualcosa, e Ambra lo individua con precisione.

«Sicuramente sulla disciplina, anche nelle piccole cose. Sullo sport, sul fare movimento. Capire l'importanza di quello che abbiamo – non solo nella nostra modernità, ma quello che veramente la nostra terra ci mette a disposizione».

Ma soprattutto: «Manca questo senso di comunità, di sentirsi parte di qualcosa. Di comunicazione diretta – non solo tramite uno smartphone, non solo tramite questi dispositivi. Un po' più di coraggio, ecco».

È la solitudine connessa. È lo schermo che sostituisce lo sguardo. È la mancanza di uno spazio fisico dove sudare insieme, dove sbagliare insieme, dove imparare il valore di non essere soli.

Lo sport per Ambra non è stato una fuga dalla difficoltà: è stato l'ingresso in una comunità. È stato imparare il significato di «non sono solo in questo».

Il Circolo: prendersi cura per prendersi cura

C'è un momento nella conversazione in cui Ambra parla di qualcosa di molto semplice, ma raramente ascoltato: il circolo virtuoso della cura.

«Secondo me è da noi stessi. Se ci prendiamo cura di noi stessi – già conduciamo uno stile di vita sano e questo fa bene sia a noi che poi all'ambiente esterno, alle persone che ci stanno attorno. Si crea un circolo positivo di esperienze e condivisioni che possono migliorare su tutti i fattori – sia sociali che contestuali che ambientali».

Non è narcisismo. Non è "metti a posto te stesso e il resto si sistemerà". È il riconoscimento che il tuo corpo è politico, che il tuo movimento è comunicazione, che il tuo stile di vita è un messaggio che trasmetti costantemente agli altri.

Se Ambra si allena, non è solo per sé. È per dire ai ragazzi che hanno visto il suo docufilm: «Il movimento conta. La fatica conta. La disciplina conta». È per dimostrare che la cura di sé non è vanità, è responsabilità civile.

Immaginare come atto di resistenza

Quando tutto crolla, quando i piani cambiano, quando il corpo non risponde più come prima – rimane l'immaginazione.

Ambra ha una capacità che descrive con una semplicità disarmante: quella di immaginare. Non di sognare – di immaginare. Perché immaginare è progettare. È dare forma al prossimo passo, anche quando non puoi vedere dove poggierà il piede.

«Anche quando la realtà non è quella che desidero – nei momenti post Parigi, dopo la mia caduta – in cui magari avrei potuto percepire una me stessa debole, che non sarebbe stata in grado di riprendersi, o ci sarebbe voluto tanto tempo».

Ma invece: «Ho sempre avuto questa capacità di guardare avanti e immaginarmi veramente gli step che mi avrebbero portato a riprendere la mia vita in mano ancora una volta».

Non è fuga dalla realtà. È il riconoscimento che la realtà presente non è la realtà definitiva. Che esistono futuri alternativi, che dipendono da come rispondiamo oggi.

«È stato quando ho scelto di fare salto in lungo. Quando ho scelto di venire a Livorno, cambiare vita. Quando sono andata a Roma in caserma a Castelporziano ad allenarmi. Ho sempre guardato un po' più avanti. Questa capacità di immaginazione, di creatività, mi ha aiutato tantissimo».

Immaginare non è un lusso per Ambra. È uno strumento di sopravvivenza. È come mangiare, dormire, respirare – è necessario per continuare.

Il pezzo di Sé nella storia dell'Altro

Il docufilm non è il trionfo di Ambra. È uno specchio.

«La cosa più bella è vedere come le persone riescono ad immedesimarsi nella mia storia. Il mio augurio è quello di trovare che ognuno degli spettatori possa trovare un pezzo di loro nella mia storia».

Non è egocentrismo. È l'inverso. È l'offerta di una storia perché altri possano vedersi dentro e riconoscersi. «Ah, anch'io mi sento bloccato. Ah, anch'io ho avuto paura. Ah, anch'io posso ricominciare».

La storia di Ambra non è straordinaria perché lei è straordinaria. È straordinaria perché è ordinaria. È una ragazza toscana che faceva mezzo fondo. Che ha avuto un incidente come potrebbero averne milioni. Che ha scelto di non mollare, come molti potrebbero scegliere.

Il vero traguardo

C'è un ultimo messaggio, implicito in tutto quello che Ambra racconta, che vale la pena di mettere al centro.

Il vero traguardo non è la medaglia. Non è il tempo. Non è il record.

Il vero traguardo è sapersi rialzare. È raccontarsi. È ispirare chi ci sta accanto a fare lo stesso.

La forza si trova nei chilometri più difficili, nel momento in cui dici ancora un giro, ancora un passo, ancora un respiro. La forza si trova nella voglia di trasformare ogni ostacolo in una nuova partenza.

Questo è quello che Ambra porta nelle scuole il 3 dicembre, quando il suo docufilm arriverà nei cinema. Non è il racconto di come ha vinto. È il racconto di come ha imparato a ricominciare. E come chiunque può imparare a farlo.

Ogni giorno, anche nei momenti in cui tutto sembra fermo, stai aggiungendo qualcosa al tuo percorso. Stai immaginando il prossimo passo. Stai scoprendo chi puoi diventare.

Questo è Fuori Classe, perché bisogna essere fuori classe anche nella vita.

Scopri l'intervista completa a Ambra Sabatini nella nuova puntata di FuoriClasse, il podcast di Gruppo Spaggiari Parma disponibile su YouTube.