Nel vasto panorama della tecnologia educativa, spesso ci troviamo a chiederci quale sia il vero scopo degli strumenti che utilizziamo quotidianamente. In un'epoca in cui l'innovazione sembra essere guidata da metriche e funzionalità, ci interroghiamo su come possiamo riscoprire l'anima dietro il design tecnologico. Questo articolo esplora la visione di Jony Ive, un pioniere del design che ci invita a guardare oltre la superficie e a considerare il profondo impatto umano della tecnologia.
Attraverso la lente della sua filosofia, ci immergeremo nel mondo dell'EdTech, cercando di capire come possiamo progettare strumenti che non solo funzionino, ma che ispirino e arricchiscano l'esperienza educativa. Una lettura approfondita per scoprire come la cura, il proposito e la gioia possono trasformare il modo in cui interagiamo con la tecnologia nell'educazione.
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1. Introduzione: Jony Ive e l'anima nascosta della tecnologia
Jony Ive, figura iconica del design, celebre per il suo ruolo decennale in Apple, non è un semplice progettista di oggetti belli. La sua visione sulla creazione tecnologica affonda le radici in una filosofia molto più profonda, che considera il prodotto come un testamento di chi siamo e un riflesso dei nostri valori e delle nostre preoccupazioni. Per Ive, la tecnologia, nella sua forma più elevata, dovrebbe tentare di muovere la specie, non limitandosi a soddisfare requisiti funzionali o di mercato.
Questa prospettiva, maturata nell'ambiente della Silicon Valley fin dai suoi primi anni, quando percepiva un' "innocente euforia" guidata da valori chiaramente "al servizio dell'umanità", offre una lente potentissima per osservare e ripensare il mondo dell'EdTech. L'educazione è, per sua natura, profondamente umana e trasformativa. Gli strumenti che supportano l'apprendimento dovrebbero quindi, idealmente, rispecchiare e potenziare queste qualità, non semplicemente digitalizzare processi esistenti.
L'intervista a Ive rivela un senso di scopo originario nell'industria tecnologica: quello di servire la specie e avere il chiaro obiettivo di abilitare e ispirare le persone. Questi principi dovrebbero essere il fondamento della progettazione EdTech: non si tratta solo di fornire software o hardware, ma di creare facilitatori che stimolino la curiosità, la creatività e un apprendimento significativo. Questo contrasta con la percezione attuale dell'industria tecnologica, talvolta vista come guidata prevalentemente da denaro e potere.
Il punto cruciale della sua riflessione, e il cuore del nostro articolo, è l'invito a guardare oltre ciò che è facilmente misurabile. Ive avverte contro la "menzogna insidiosa" che deriva dal focalizzarsi solo su attributi quantificabili – costo, velocità, tempi di sviluppo – portandoci a credere che solo questi aspetti contino. Nel contesto EdTech, questo si traduce nel rischio di dare importanza solo a metriche come il numero di accessi, i tempi di utilizzo, o i risultati standardizzati nei test, ignorando aspetti fondamentali come l'engagement emotivo, la gioia dell'apprendimento, la percezione di cura e rispetto da parte degli utenti (studenti, docenti, genitori).
Applicare la visione di Ive all'EdTech significa interrogarsi su come i nostri strumenti educativi possano andare oltre la mera funzionalità per infondere un senso di cura, proposito e persino gioia, rendendo l'esperienza educativa più ricca e profondamente umana. Questo è l'approccio che esploreremo, anche applicandolo a uno strumento quotidiano e spesso dibattuto come il registro elettronico.
2. Il proposito originario: servire, abilitare, ispirare
Jony Ive ci trasporta indietro nel tempo, ai primordi della sua esperienza nella Silicon Valley, descrivendo un clima permeato da un' "innocente euforia". Questa euforia non era fine a sé stessa o guidata da cieco ottimismo, ma era alimentata da un motore etico potente: la convinzione che la tecnologia fosse "chiaramente al servizio dell'umanità". C'era un "senso di scopo molto forte", unanime e condiviso, che si traduceva in una missione chiara: "siamo qui per servire la specie".
Questo proposito originario non si limitava alla mera creazione di strumenti, ma puntava esplicitamente a "abilitare e ispirare le persone". Ive si identifica con orgoglio come un "costruttore di strumenti" (tool maker), una professione che non è solo tecnica, ma intrinsecamente legata al progresso e all'innovazione nel senso più alto del termine. L'innovazione, nella sua visione, non è semplicemente fare qualcosa di diverso o "rompere le cose" per il gusto di farlo. È piuttosto un tentativo costante di "muovere le cose in avanti", di creare qualcosa di "meglio" e, in definitiva, di "tentare di elevare sinceramente la specie".
Questa prospettiva è cruciale per il mondo dell'EdTech. Se l'industria tecnologica nelle sue fasi iniziali sentiva questa vocazione quasi spirituale al servizio dell'umanità e alla sua elevazione, quanto più questo dovrebbe essere vero per la tecnologia applicata all'educazione? L'EdTech non dovrebbe limitarsi a replicare processi didattici o amministrativi in formato digitale. Il suo proposito più alto è potenziare l'apprendimento, stimolare la crescita individuale, facilitare l'interazione umana all'interno del processo educativo e rendere accessibili opportunità di conoscenza.
Ive contrasta questa "innocente euforia" originaria con l'orientamento che percepisce oggi in parte dell'industria, descritta, con una certa durezza, come guidata da "denaro e potere". Questo cambiamento di priorità è un campanello d'allarme. Quando il focus si sposta dal servire l'umanità all'accumulo di risorse e influenza, c'è il rischio concreto che gli strumenti perdano la loro anima, quel senso di cura e di proposito che Ive ritiene fondamentale.
L'idea di "fare qualcosa con amore e con cura", come espresso da Steve Jobs, non è un mero vezzo estetico. È un modo di comunicare all'utente, anche attraverso i dettagli più piccoli (come la gestione di un cavo in una confezione), che "qualcuno ci ha tenuto". È una forma di "esprimere la nostra gratitudine alla specie", riconoscendo la nostra interconnessione e il nostro desiderio di contribuire positivamente alla vita degli altri.
Applicato all'EdTech, questo significa che ogni piattaforma, ogni software, ogni strumento digitale implementato nelle scuole non dovrebbe essere visto solo come una soluzione a un problema funzionale o burocratico ("ho bisogno di uno strumento per gestire i voti", "ho bisogno di un'aula virtuale"). Dovrebbe essere progettato con l'intento profondo di migliorare la vita di docenti e studenti, di facilitare l'atto educativo nel suo complesso, di trasmettere un senso di rispetto e di cura verso chi lo utilizzerà quotidianamente. Questo proposito originario, questa volontà di servire e ispirare, deve rimanere la stella polare nella progettazione e nell'implementazione di ogni soluzione EdTech.
3. La trappola della misurabilità: quando i numeri offuscano l'umanità
Una delle critiche più incisive e attuali mosse da Jony Ive riguarda la tendenza, sempre più diffusa nell'industria tecnologica, a concentrarsi quasi esclusivamente sugli attributi che possono essere facilmente misurati con un numero. Questa tendenza non è casuale; Ive suggerisce che le persone tendono a parlare di queste qualità (come tempi, costi, velocità, peso) perché sono dati oggettivi su cui "generalmente si può essere d'accordo". È un modo, forse inconscio, per cercare di relazionarsi tra loro e di essere inclusivi all'interno dei processi decisionali. È più semplice discutere se sei è un numero più grande di due piuttosto che valutare l'impatto emotivo di un'interfaccia.
Tuttavia, in questa ricerca di oggettività e relazionabilità, si annida una "menzogna insidiosa". Questa menzogna nasce dalla logica distorta che, poiché spendiamo tutto il nostro tempo a parlare di attributi facilmente misurabili, allora questi sono gli unici che contano. Ive è categorico: "E questa è una menzogna". Sebbene questi aspetti siano importanti, rappresentano solo una "verità parziale".
Il problema fondamentale è che gran parte del contributo di designer, creativi e di chiunque si preoccupi veramente dell'esperienza umana, non può essere facilmente misurato con un numero. Questo lavoro rischia di essere sminuito, ridotto a una mera "opinione", un atteggiamento che Ive paragona, con una forte metafora, a dire a un cardiochirurgo che la sua diagnosi è solo la sua opinione.
Nel contesto dell'EdTech, questa trappola è particolarmente pericolosa. L'educazione è un processo intrinsecamente umano, complesso e ricco di sfumature difficilmente quantificabili. Eppure, molti strumenti EdTech e in particolare, l'evoluzione di strumenti come il registro elettronico, rischiano di cadere in pieno in questa trappola. Il focus si sposta inevitabilmente verso ciò che è facile da monitorare e rendicontare: percentuali di assenza, medie voto, numero di compiti assegnati e corretti, tempi di accesso alla piattaforma, completamento di test standardizzati. Questi sono i numeri su cui si basano riunioni, report e spesso, valutazioni.
Concentrandoci solo su questi indicatori numerici, rischiamo di ignorare, o peggio, di considerare irrilevanti, aspetti fondamentali dell'esperienza educativa:
- La gioia della scoperta e dell'apprendimento.
- Il senso di cura e di rispetto percepito da studenti, docenti e famiglie.
- L'ispirazione e l'abilitazione che la tecnologia dovrebbe fornire.
- La qualità dell'interazione umana mediata o facilitata dalla tecnologia.
- Il senso di scopo e di proposito nel processo educativo.
- L'impatto emotivo e psicologico dell'interfaccia utente (frustrazione, noia, engagement).
Ive sottolinea che le cose che rendono un prodotto "delizioso da usare e gioioso da usare", oltre che più produttivo, sono "ugualmente importanti". Anzi, i prodotti che sono deliziosi e gioiosi "tendono a essere usati di più". Nel registro elettronico, questo non significa aggiungere colori o animazioni inutili, ma progettare un'esperienza che riduca lo stress amministrativo, che sia intuitiva e fluida, che comunichi rispetto per il tempo e lo sforzo di docenti e famiglie, e che, dove possibile, faciliti momenti di connessione umana (es. comunicazione chiara e personalizzata).
Una progettazione che si concentra solo sui numeri porta inevitabilmente a prodotti "desiccati e senz'anima", privi di quel senso di cura che Ive considera quasi "spirituale", un modo per dire all'utente che "a qualcuno importava". Nel registro elettronico, ciò si traduce in interfacce fredde, procedure macchinose, e una percezione di essere ridotti a un insieme di dati da inserire e gestire, piuttosto che attori di un processo educativo vitale.
Superare la trappola della misurabilità significa quindi, per l'EdTech e per chi sviluppa strumenti come il registro elettronico, compiere uno sforzo consapevole per valorizzare e progettare attivamente per le qualità non quantificabili: la facilità d'uso non solo funzionale ma percepita, il senso di supporto, la riduzione dell'ansia, la promozione di un'esperienza positiva. Si tratta di riconoscere che l'impatto reale di uno strumento educativo non si esaurisce nelle metriche di utilizzo, ma risiede nella sua capacità di arricchire e rendere più umana l'esperienza di chi apprende e di chi insegna.
4. L'importanza fondamentale della cura e del senso di proposito
Nel cuore della filosofia di progettazione di Jony Ive risiede un concetto potente e spesso trascurato: la cura. Non si tratta di un mero dettaglio estetico o di un vezzo superfluo, ma di un elemento intrinseco che comunica profondamente all'utente che "a qualcuno importava". Questa percezione di cura è, per Ive, quasi un "senso spirituale".
Egli illustra questo punto con un esempio apparentemente banale: il modo in cui viene gestito un cavo all'interno della confezione di un prodotto Apple. Mentre si potrebbe misurare l'efficienza in termini di secondi risparmiati nello spacchettamento su milioni di utenti, per Ive il vero significato è altrove. È nel momento in cui l'utente svolge il cavo e percepisce che quel piccolo dettaglio è stato pensato con attenzione e sollecitudine. In quell'istante, l'utente sente che "qualcuno si è preso cura di me". Questa sensazione, apparentemente piccola, è ciò che differenzia un prodotto "desiccated soulless product" (prodotto inaridito e senz'anima) da uno che ha un'anima e un senso di umanità.
Questo senso di cura è strettamente legato al proposito. Se il proposito originario dell'industria tecnologica era quello di "servire la specie" e di "abilitare e ispirare le persone", allora la cura nel processo di creazione è la sua manifestazione tangibile. Si tratta di fare qualcosa "con amore e con cura", come espresso da Steve Jobs, non per un calcolo utilitaristico, ma come un modo di "esprimere la nostra gratitudine alla specie". È il riconoscimento della responsabilità e del privilegio di creare strumenti che influenzeranno la vita degli altri.
La mancanza di cura, o la "carelessness" (negligenza/noncuranza), è altrettanto percettibile. Prodotti frettolosi, interfacce frustranti, processi inutilmente complicati: tutto ciò comunica una mancanza di rispetto per l'utente e per il loro tempo ed energia. Ive paragona questo a dire a un cardiochirurgo che la sua diagnosi è solo un'opinione, sminuendo il lavoro profondo e complesso che sta dietro alla creazione di qualcosa di veramente valido e umano.
Nel contesto dell'EdTech, la cura deve essere una priorità assoluta. Se uno strumento digitale per la scuola è progettato unicamente per "solvere un imperativo funzionale" (come gestire i voti o le presenze) senza considerare l'esperienza umana di chi lo usa quotidianamente (docenti, studenti, famiglie), rischia di diventare un prodotto inaridito e senz'anima. Un registro elettronico progettato con cura, ad esempio, non è solo funzionale, ma cerca di ridurre lo stress, di facilitare la comunicazione, di trasmettere rispetto per il lavoro dei docenti e l'impegno degli studenti, e di rendere l'interazione con la piattaforma il più intuitiva e piacevole possibile. Anche i dettagli apparentemente insignificanti, come la chiarezza di un'etichetta, la fluidità di un processo, o la gestione di un errore, possono comunicare cura o la sua assenza.
Ive suggerisce che questa cura si manifesta anche negli aspetti "unseen" (non visti) di un prodotto. Come un falegname di talento che rifinisce il retro di un cassetto che nessuno vedrà mai, la cura nel design si estende anche ai dettagli interni, al codice, alla struttura che non sono immediatamente visibili all'utente finale, ma che contribuiscono alla qualità complessiva e alla percezione di solido valore. Per l'EdTech, questo potrebbe significare database robusti, architetture software pulite, attenzione alla sicurezza dei dati oltre il minimo richiesto, tutte cose che dimostrano un proposito profondo di costruire qualcosa di affidabile e rispettoso.
In definitiva, per Ive, la cura e il senso di proposito non sono opzionali, ma sono un'obbligazione e una responsabilità per chi crea strumenti per gli altri. Non prendersi cura di coloro per cui lavoriamo non solo li fa soffrire, ma è anche un'esistenza "corrosive" (corrosiva) per chi crea. Applicare questa visione all'EdTech significa andare oltre le metriche di utilizzo e i requisiti funzionali per abbracciare la sfida più nobile: costruire strumenti educativi che non solo funzionino, ma che siano creati con tale cura da ispirare, abilitare e persino portare un senso di gioia nel complesso e vitale processo dell'apprendimento.
5. La gioia e l'umanità nell'interfaccia: oltre la mera funzionalità
Superare la "trappola della misurabilità" e infondere un senso di "cura" e "proposito" nella progettazione conduce naturalmente a considerare un altro elemento fondamentale per Jony Ive: la gioia e l'umanità che un prodotto può trasmettere.
Ive osserva che, mentre si parla spesso del design Apple in termini di minimalismo, semplicità e chiarezza funzionale – aspetti certamente veri – ciò che è altrettanto sorprendente è quanto design sembri avere un senso di umorismo o gioia intessuto al suo interno. Questo si manifestava in prodotti iconici, come gli iMac colorati o persino i giocosi iPod socks. Tuttavia, questa dimensione della gioia sembra, secondo Ive, spesso mancare nell'industria tecnologica in generale e nella "nostra industria condivisa".
Per Ive, la vera semplicità nel design non consiste nel mero "rimuovere il disordine", che porterebbe a un prodotto "inaridito e senz'anima" (desiccated soulless product). Piuttosto, la semplicità è cercare di esprimere in modo succinto "l'essenza di qualcosa e il suo scopo e il suo ruolo nella nostra vita". In questo processo, il ruolo della gioia è cruciale. Anche se a volte la gioia viene confusa con l'essere "banale" o "frivolo", Ive crede che sia profondamente legata allo stato mentale di chi progetta: se la pratica è speranzosa, ottimista e gioiosa, anche i prodotti rifletteranno questo.
Questa prospettiva si allinea con la critica espressa da Daniel Cook (citato nell'intervista) riguardo alla progettazione di applicazioni "enterprise" standard che non riconoscono che l'utente è una persona. Questa persona desidera imparare, può cambiare e il software ha un effetto su di lei. Parole come "abilitare, ispirare, amore, cura, gratitudine, gioia" provengono da una concezione dell'utente come qualcuno che è vivo e in continuo cambiamento, non semplicemente un esecutore di compiti funzionali.
Per Ive, gli aspetti che rendono un prodotto "delizioso da usare e gioioso da usare" (delightful to use and joyful to use) sono "ugualmente importanti" quanto gli attributi facilmente misurabili. Anzi, i prodotti che sono deliziosi e gioiosi "tendono a essere usati di più". Questo è un punto fondamentale: l'engagement e l'efficacia non dipendono solo dalla mera funzionalità, ma anche dall'esperienza emotiva e percettiva dell'utente.
Considerando l'EdTech, questo principio ha implicazioni enormi. Uno strumento educativo digitale non dovrebbe limitarsi a essere un repository di dati o una piattaforma per compiti. Per evitare di essere un "prodotto inaridito e senz'anima", deve essere progettato tenendo a mente che gli utenti – studenti, docenti, famiglie – sono persone con sentimenti, aspirazioni e giornate complesse. L'interfaccia e l'interazione dovrebbero cercare di ridurre la frizione, alleviare lo stress, facilitare la comprensione e, se possibile, generare un senso di piacere nell'interazione.
Un registro elettronico, ad esempio, può essere progettato per essere funzionale (inserire voti, presenze), ma un design che incorpora "umanità" e che mira alla "gioia" (o almeno alla minimizzazione della frustrazione) farebbe una differenza sostanziale. Questo potrebbe tradursi in:
- Interfacce intuitive che non richiedono un manuale complesso per operazioni comuni.
- Processi fluidi che non presentano ostacoli o passaggi inutili.
- Comunicazioni chiare e rispettose.
- Feedback costruttivo che non si limiti a numeri.
- Un senso generale di supporto e facilitazione, piuttosto che di burocrazia digitale.
Ive cita Christopher Alexander, che suggerisce che tra due scelte, quella che "si sente più umana" (feels more humane) è quella giusta, e che questo senso di umanità è una guida migliore della pura bellezza. Ive concorda pienamente, credendo che gli utenti siano sofisticati e abbiano l'abilità di "sentire la cura" (sense care) (o la sua assenza, la "negligenza" - carelessness) in un prodotto, anche in oggetti o software dove l'interazione è indiretta o "vicaria". Progettare con umanità significa riconoscere la complessità dell'esperienza umana e cercare attivamente di migliorarla attraverso il design.
In sintesi, integrare la gioia e l'umanità nell'EdTech e in strumenti come il registro elettronico non è un optional estetico, ma una necessità funzionale ed etica. Si tratta di creare strumenti che non solo svolgano i loro compiti, ma che risuonino con l'esperienza umana degli utenti, rendendo il processo educativo meno gravoso e, idealmente, più stimolante e piacevole.
6. Progettare per la persona: implicazioni per l'EdTech e il registro elettronico
Il filo conduttore della visione di Jony Ive, e il culmine della nostra riflessione sull'EdTech, è l'imperativo di progettare per la persona. Come sottolineato da Daniel Cook, citato nell'intervista, molte applicazioni, specialmente quelle di tipo "enterprise" o quelle focalizzate solo su imperativi funzionali, falliscono nel riconoscere che l'utente è una persona. Questa persona non è un semplice esecutore di compiti, ma desidera imparare, può cambiare e il software che utilizza ha un effetto su di lei. Parole come "abilitare, ispirare, amore, cura, gratitudine, gioia" emergono da una concezione dell'utente come qualcuno che è vivo e in continuo cambiamento.
Ive si allinea a questa prospettiva, richiamando il pensiero di Christopher Alexander, il quale suggeriva che, tra due scelte di design, quella che "si sente più umana" (feels more humane) è quella giusta. Questo senso di umanità in un oggetto o in un software è una guida migliore della pura bellezza, che potrebbe portare in territori più soggettivi. Ive concorda pienamente, ritenendo che gli utenti siano molto più sofisticati di quanto spesso si pensi e che abbiano una notevole capacità di "sentire la cura" (sense care) o, al contrario, la sua assenza ("negligenza" - carelessness).
Questa percezione di cura non è limitata alle interazioni dirette con un servizio, ma si estende anche all'interazione "vicaria", mediata da un oggetto fisico o da un pezzo di software. Anche nel contesto digitale dell'EdTech, gli utenti (docenti, studenti, genitori) percepiscono se uno strumento è stato progettato con attenzione e rispetto per la loro esperienza. Un software che è frustrante da usare, che richiede sforzi inutili o che comunica in modo confuso, trasmette, implicitamente, un senso di negligenza e di mancanza di cura.
Ive estende il concetto di cura anche agli aspetti "unseen" (non visti) di un prodotto. Come un abile ebanista rifinisce il retro di un cassetto che nessuno vedrà mai, una progettazione che si prende cura dell'utente si manifesta anche nei dettagli interni del software: un codice pulito, un'architettura robusta, una gestione dei dati sicura e rispettosa della privacy che va oltre il minimo richiesto. Questi aspetti "nascosti" non sono forse immediatamente visibili all'utente finale, ma contribuiscono in modo sostanziale alla solidità, all'affidabilità e alla percezione complessiva di valore e di rispetto. Sono una dimostrazione tangibile del "senso di proposito" profondo di chi ha creato lo strumento. Prendersi cura anche di ciò che non si vede è, per Ive, un "segno di quanto siamo evoluti come persone" e un "potente indicatore di chi siamo veramente". Non farlo, limitandosi solo all'esteriorità o alla funzionalità superficiale, porta a sentirsi "superficiali".
Trasferendo questa visione al mondo dell'EdTech e, in particolare, a uno strumento fondamentale come il registro elettronico, le implicazioni sono profonde:
- Riconoscere l'Umanità dell'Utente: Docenti, studenti e genitori non sono semplici "utenti" o "stakeholder", ma persone reali con giornate intense, esigenze specifiche e spesso sotto pressione. Il registro elettronico dovrebbe essere progettato per alleggerire il loro carico, non per aumentarlo.
- Manifestare la Cura: Ogni elemento dell'interfaccia, ogni flusso di lavoro, ogni messaggio di errore comunica un livello di cura (o la sua assenza). Un design curato significa intuitività, chiarezza, efficienza e rispetto per il tempo degli utenti. Significa anticipare i loro bisogni e rimuovere gli ostacoli.
- Integrare il Senso di Proposito: Se il proposito dell'EdTech è servire, abilitare e ispirare, il registro elettronico non è solo un sistema di gestione, ma uno strumento per facilitare la comunicazione, supportare il processo di apprendimento-insegnamento e valorizzare il lavoro di chi educa e di chi apprende. La cura nella progettazione è la manifestazione di questo proposito elevato.
- Andare Oltre la Mera Funzionalità: Un registro elettronico funzionale è solo l'inizio. Per non essere un "prodotto inaridito e senz'anima", deve mirare a essere "delizioso da usare e gioioso da usare" (delightful to use and joyful to use). Questo non è frivolo, ma cruciale per l'engagement e per rendere l'interazione quotidiana meno gravosa e più piacevole. Anche se la "gioia" può sembrare un obiettivo ambizioso per un registro, ridurre la frustrazione, rendere le operazioni fluide e la piattaforma affidabile contribuisce enormemente a un'esperienza positiva.
- La Responsabilità Etica: Per Ive, prendersi cura di coloro per cui si lavora non è opzionale, ma una "obbligazione e una responsabilità" per chi crea strumenti per gli altri. Non prendersi cura degli utenti non solo li fa soffrire, ma è anche un'esistenza "corrosive" (corrosiva) per chi crea.
In conclusione, progettare significa infondere in ogni dettaglio, visibile e invisibile, un profondo senso di cura e proposito. Significa riconoscere e rispettare la persona che utilizza lo strumento. Questa non è solo una strategia ma un dovere etico fondamentale: costruire strumenti che non solo funzionino, ma che onorino la complessità e l'importanza del processo educativo, contribuendo a un futuro in cui la tecnologia serve veramente a servire, abilitare e ispirare la specie.